TRE CHIESE MEDIEVALI

La Rotonda di San Lorenzo richiama altre chiese medievali, che è possibile visitare in città. Tre di esse, ricuperate dopo le soppressioni e i danni derivati da usi impropri, sono di particolare rilievo.

Santa Maria del Gradaro
Chiesa già monastica e ora parrocchiale, costruita nel 1256 e recentemente restaurata dopo secoli di abbandono, presenta un’asimmetrica facciata a capanna con bei rosone e portale. L’interno è romanico-gotico, a tre navate in origine divise in due da un muro (ne restano le basi affrescate) eretto a distinguere lo spazio dei laici da quello dei monaci; a destra del presbiterio e nell’abside, pregevoli affreschi bizantineggianti presentano due Madonne col Bambino, Profeti e santi e un’Ultima cena. Le navate laterali conservano resti degli interventi cinquecenteschi, con lunette a fresco raffiguranti Episodi della Pasqua, dall’Ultima cena alla Risurrezione.
L’adiacente monastero dall’austero esterno (ora convento femminile; per la visita rivolgersi in portineria) racchiude un incantevole chiostro quattro-cinquecentesco.


San Francesco
La chiesa, di stile gotico lombardo, è datata 1304. Con le soppressioni settecentesche fu ridotta ad arsenale; gravi danni subì dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma fu poi ricostruita nelle forme originali, insieme con l’annesso convento ora sede dell’università. La facciata, dalle fini decorazioni in cotto, prelude al vasto interno, a tre navate di cui la destra affiancata da cappelle. Nell’atrio della prima, San Francesco riceve le stigmate, di Stefano da Verona; nella seconda, i frammenti ricuperati dei trecenteschi sepolcri Gonzaga; nella quinta, un pregevole San Francesco della scuola di Giunta Pisano. L’ultima è la cappella di San Ludovico d’Angiò, voluta nel 1369 dai Gonzaga come mausoleo di famiglia; prodigiosamente salvatasi dalle distruzioni belliche, presenta ancora affreschi coevi di grande rilevanza: sulla parete d’ingresso, scene della Vita di Gesù e, su quella di fronte, scene della Vita di San Ludovico, attribuite al modenese Serafino de’ Serafini.


Santa Maria degli Angeli
È la chiesa, ora parrocchiale, già del convento domenicano voluto da Gianfrancesco Gonzaga nel 1429 sulle rive del lago Superiore, in forme che riprendono quelle del non lontano santuario delle Grazie (e perciò consentono di percepire di quest’ultimo l’aspetto originario). Lo stile è gotico lombardo, con pinnacoli sulla fronte e lungo il fianco destro, e l’interno ad unica navata coperta da volte a crociera. La controfacciata presenta lo stemma dei Gonzaga, nella forma dell’ultimo periodo ducale; alla parete sinistra, una mirabile tela quattrocentesca con San Bonaventura e l’albero della vita, affiancata dalla riproduzione fotografica del lato posteriore, più tardo. Gioiello della chiesa è poi la tavola sopra l’altare, raffigurante la Madonna degli angeli, dipinta da Niccolò da Verona in uno stile tra Gotico e Rinascimento, che manifesta l’influsso del contemporaneo Andrea Mantegna.


CATTEDRALE

La cattedrale di Mantova, nota anche come il duomo, si affaccia sulla piazza maggiore della città, la piazza Sordello. L’importanza religiosa le deriva da vari elementi: in quanto cattedrale, esprime l’unità dei fedeli intorno al vescovo; è intitolata all’apostolo Pietro, esprimendo così i vincoli dei cattolici locali col papa; accoglie il corpo incorrotto di sant’Anselmo, patrono della città e della diocesi, che viene esposto alla venerazione nel giorno della sua festa, il 18 marzo; ha annesso il santuario della Beata Vergine Incoronata, dove si venera la più antica immagine mantovana della Madonna.
Il tempio, fondato nell’alto Medio Evo, è stato oggetto di continui abbellimenti, così che oggi porta i segni – spesso di grande rilevanza artistica – della lunga storia della città.
Richiama la Mantova romana la testa marmorea di una matrona del primo secolo, ora sul campanile, mentre del periodo paleocristiano è il sarcofago interno, con una delle primissime raffigurazioni del Natale. Il campanile è romanico, l’incantevole fianco destro e il grande battistero sono gotici, il santuario dell’Incoronata è nello stile del primo rinascimento fiorentino, mentre l’annessa sagrestia monumentale è decorata nella volta da affreschi mantegneschi.
Il solenne interno, con la sua selva di bianche colonne e l’insolita struttura a sette navate (le più esterne poi chiuse da cancellate), è l’ultimo capolavoro di Giulio Romano, arricchito di statue e dipinti coevi. Tra la fine del secolo e gli inizi del successivo il vescovo Francesco Gonzaga ha fatto eseguire il grandioso ciclo degli affreschi che ornano i transetti, la cupola (con l’Eterno Padre al centro dei nove cori angelici) e l’abside (con l’apoteosi della Redenzione, opera di Antonio Maria Viani).
Del Seicento, con decorazioni neoclassiche, è l’ottagonale cappella del Santissimo Sacramento; del Settecento è la facciata, mentre l’Ottocento è richiamato da varie memorie del Risorgimento. Infine, del Novecento sono l’audace Via Crucis in terracotta, opera di Andrea Jori, e la tela di Alessandro Dal Prato raffigurante san Pio X, che di Mantova fu vescovo.
Il tesoro della cattedrale (arazzi, oreficerie, dipinti) è esposto al Museo diocesano.


BASILICA DI SANT’ANDREA

Questo mirabile monumento, uno dei vertici dell’architettura italiana, sul piano religioso trae la sua importanza da due fattori: ha la dignità e il ruolo di concattedrale della diocesi, e custodisce la reliquia del Preziosissimo Sangue di Gesù, dalla quale hanno avuto origine il tempio e la città come la conosciamo.
I vangeli informano che un soldato romano ha trafitto con la lancia il fianco di Gesù in croce. La successiva tradizione afferma che quel soldato, denominato Longino, subito convertitosi ha raccolto ai piedi della croce terra imbevuta del Sangue divino e l’ha portata a Mantova, nascondendola sotterra prima di subire il martirio. La reliquia fu ritrovata l’anno 804; per verificare il reperto venne il papa Leone III, il quale lo affidò a un vescovo, istituendo qui la diocesi. Mantova allora si era ridotta a un misero villaggio tra le paludi: la presenza di un vescovo, l’essere divenuta il centro del territorio circostante e il riconoscimento imperiale che la rese sede di contea, segnarono la sua rinascita, avviando uno sviluppo culturale e politico che la portò ad essere nel rinascimento una delle principali città d’Europa.
Un’espressione della sua rilevanza è costituita proprio dalla basilica, voluta dal marchese Ludovico II Gonzaga e progettata nel 1470 da Leon Battista Alberti. Le sue forme solenni si ispirano all’antica architettura romana imperiale: la facciata richiama i templi e gli archi di trionfo (il gotico campanile è precedente), mentre il maestoso interno riprende le costruzioni termali (come si possono vedere ad esempio nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli). Al tempio ideato dall’Alberti, nel Cinquecento Antonio Maria Viani ha aggiunto la cripta (a croce greca, con bracci a tre navate), e nel Settecento Filippo Juvara la cupola (che si eleva a 80 metri d’altezza).
Rilevanti sono le decorazioni. La prima cappellina a sinistra accoglie il sepolcro di Andrea Mantegna, con un suo bellissimo busto-ritratto, l’ultimo suo dipinto, raffigurante Le sacre famiglie, e I quattro evangelisti, affrescati dal Correggio. Sempre a sinistra, la seconda delle cappelle grandi presenta un’elaborata ancona del Viani, mentre la terza grande a destra presenta dipinti ideati e in parte realizzati da Giulio Romano, con la Crocifissione (e Longino che raccoglie il Sangue) e il Ritrovamento del Preziosissimo.Tra gli altri dipinti si segnalano quelli settecenteschi di Giorgio Anselmi che decorano l’abside e la cupola.
Sotto la cupola è un ottagono, corrispondente all’altare della sottostante cripta dove si custodisce la reliquia, che la sera del Venerdì Santo viene portata in processione per le vie della città, ma in permanenza richiama l’aspetto fondamentale della fede cristiana, la divina Redenzione.
Gli affreschi di Mantegna e Correggio, con altre opere provenienti dalla basilica, sono esposti al Museo diocesano.


BASILICA PALATINA DI SANTA BARBARA

Il Palazzo Ducale di Mantova, la sterminata reggia dei Gonzaga, comprendeva al suo interno, con varie cappelle, la chiesa di corte. Rispetto all’esistente, non appena assunse il potere il duca Guglielmo ne volle una più consona con il ruolo che attribuiva alla dinastia e con i suoi personali interessi, religiosi e culturali. Allo scopo commissionò all’architetto Giovan Battista Bertani la basilica, che dalla reliquia più importante, donata da Venezia, fu intitolata alla santa martire.
D’accordo col duca, Bertani ideò uno spazio centralizzato, a croce greca sotto un enorme lucernario in funzione di cupola (una singolare “cupola” cubica) e quattro cappelle angolari. In un momento successivo fu aggiunta la cripta, su cui poggia, elevato come un palcoscenico, il presbiterio, illuminato da un secondo lucernario simile al primo.
Per rendere importante la sua creazione, il duca la colmò di privilegi (ottenne dal papa che fosse un’abbazia non soggetta al vescovo cittadino, con un rito proprio) e di opere d’arte, incrementate poi da suo figlio, il duca Vincenzo. Tra le altre: paramenti preziosi, i nove arazzi su cartoni di Raffaello oggi nel palazzo, un rarissimo organo Antegnati, dieci nuove Messe composte dal maggiore musicista dell’epoca, Pierluigi da Palestrina (e con Vincenzo operò qui Claudio Monteverdi), oreficerie mirabolanti (ora esposte nel Museo diocesano) e, prodigiosamente ancora integro, un ciclo di dipinti d’autore.
Tra gli altri, si segnalano la pala dell’abside (Martirio di Santa Barbara, di Domenico Ricci detto Brusasorci), le ante dell’organo (Annunciazione, di Fermo Ghisoni) e le pale dei due grandi altari laterali (Martirio di sant’Adriano e Battesimo di Costantino, di Lorenzo Costa il Giovane). Tra le opere giunte in seguito, lo stupendo coro intagliato e un armadio intarsiato, dono del re Umberto I di Savoia.
Singolare è la vicenda successiva della basilica palatina. Era la chiesa della famiglia signorile; tuttavia, essendo formalmente di proprietà non della Chiesa ma dello Stato, seguì le vicende storiche dell’antico ducato: dopo i Gonzaga passò all’Austria, quindi alla Francia napoleonica, di nuovo all’Austria, cui seguì il regno d’Italia; soltanto con il Concordato del 1929 essa fu assegnata alla diocesi.
Le oreficerie della basilica sono esposte al Museo diocesano.


SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE

A breve distanza dalla città, nell’amena cornice del parco del Mincio, sulle rive del lago Superiore che d’estate si rivestono di fiori di loto, si trova il più frequentato santuario della diocesi, edificato fra Tre e Quattrocento per voto del Signore di Mantova Francesco I Gonzaga.
Vi si venera, entro un monumentale tabernacolo marmoreo, una tavola in stile bizantino raffigurante la Madonna col Bambino. Ma non si contano nel santuario le opere d’arte: paliotti intarsiati, affreschi, monumenti sepolcrali, tele rinascimentali (di Francesco Bonsignori, Lorenzo Costa il Giovane, Fermo Ghisoni) e settecentesche (Giuseppe Bazzani). Dalle volte, sontuosamente dipinte a fiorami, pende un coccodrillo impagliato di origine leggendaria. La prima cappella a destra, magistrale opera di Giulio Romano, accoglie il mausoleo di Baldassarre Castiglioni, il celebre autore de Il Cortegiano.
Unico al mondo per ampiezza e complessità è poi il documento di arte popolare, costituito dall’impalcata che riveste le pareti e accoglie 54 statue con innumerevoli ex-voto anatomici in cera, a testimonianza di grazie ricevute. Altre sono attestate dalle preziose tavolette esposte nella cappella delle confessioni.
La festa propria del santuario è il 15 agosto, solennità dell’Assunzione di Maria in cielo. E in quei giorni, con l’antica fiera, si svolge l’annuale concorso dei Madonnari, gli artisti di strada che rendono omaggio alla Vergine rivestendo di colori tutta la vasta piazza antistante.
Le celebri armature già sull’impalcata sono esposte al Museo diocesano.

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